“Nomen omen” (il nome è un presagio) diceva il celebre commediografo dell’Antica Roma Tito Maccio Plauto (250 a.C. – 184 a.C.) e se è dunque vero che il destino è scritto nel nome, allora sono certo di aver scelto la professione giusta: Tancredi deriva infatti dall’antico tedesco Tankred il cui significato è letteralmente “consigliere geniale“.

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Si dice che le coincidenze non esistano.

Siciliano di nascita, Lombardo di adozione, ho cominciato a studiare il cervello nel lontano 1995 all’Università di Pavia, città nella quale mi ero trasferito dopo una serie di strane coincidenze (anche se sappiamo bene… che le coincidenze non esistono!).

Presso il prestigioso Ateneo della ridente cittadina lombarda, mi ritrovai ben presto a portare avanti una serie di ricerche e di studi sui meccanismi di funzionamento del cervello: quelli che oggi chiameremmo più propriamente studi di Neuroscienze.

La scelta di un indirizzo così interessante fu in realtà del tutto casuale e sinceramente determinata più da un criterio di esclusione che non da un vero e genuino interesse per la materia né da una reale passione, che ai tempi non era ancora sbocciata, per lo studio dei meccanismi di funzionamento del cervello.

In altre parole, più che sapere quale futura professione volessi realmente svolgere da grande o verso quale indirizzo volessi orientarmi, a quei tempi mi era infatti molto molto più chiaro quello che volessi assolutamente evitare: ero certo e conscio del fatto che mai e poi mai avrei voluto passare le giornate a pipettare liquidi da una provetta ad uno spettrofotometro né a trasferire cellule batteriche da una capsula Petri ad un terreno di coltura di agar arricchito.

“Qualsiasi altra alternativa sarebbe andata bene”, pensai, e così scartai quasi tutte le opzioni a disposizione e mi ritrovai a frequentare un Laboratorio propedeutico alla Tesi di Laurea che la maggior parte dei miei compagni di Università avevano prontamente evitato: negli anni ’90 andava di moda studiare il genoma umano e la Biologia Molecolare al C.N.R., non certo perdersi nelle speculazioni sul funzionamento del cervello. La mia scelta si rivelò la mia più grande Fortuna!

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Al posto giusto, al momento giusto: un po’ di fortuna non guasta!

Nel Laboratorio così casualmente scelto, propedeutico al completamento dei cinque anni previsti dal Corso di Laurea, era in corso una prestigiosa e promettente collaborazione con l’Università di Ginevra, per portare avanti ricerche e studi sui meccanismi di funzionamento del cervello: ebbi l’opportunità di essere inserito nell’organico di uno di quei progetti, accedendo così ad una corposa quanto ampia ed interessantissima bibliografia e ad un impegnativo, complesso e stimolante lavoro di ricerca e di sviluppo di “modelli di studio sui meccanismi di funzionamento del cervello“, con particolare riferimento alle modalità di apprendimento, di costruzione di reti concettuali e di rappresentazioni mentali della realtà, di organizzazione e gestione delle memorie a breve e a lungo termine e di organizzazione e rimodellamento del sistema cognitivo.

Ai tempi ero soltanto uno studente di belle speranze e di non troppe velleità ma l’entusiasmo e la curiosità mi consentirono di intraprendere un iter studiorum ampio, complesso e articolato, forgiandomi al contempo una mente da attento e paziente ricercatore che mi permise, 20 anni dopo, di sviluppare una mia teoria controcorrente e innovativa sul funzionamento del cervello, in grado di proporre chiavi di lettura completamente nuove, diverse e spesso in antitesi con quelle già accreditate tanto da auspicare e disegnare un cambio di paradigma scientifico sull’interpretazione della genesi delle emozioni e dei comportamenti disfunzionali (da cui poi si generano, come già individuato dalla PNEI, tutte le patologie psicosomatiche).

Come vedremo più avanti, alla base della mia Teoria vi è l’idea che una piccola ma potentissima area del nostro encefalo, grande appena pochi millimetri, sembrava essere in grado di ipnotizzare, condizionare, offuscare e influenzare completamente tutto il resto del nostro cervello producendo, come inevitabile conseguenza, quasi tutti i problemi legati all’emotività e ai comportamenti: dall’ansia alla paura, dalla disistima all’insicurezza, dagli attacchi di panico ai pensieri ossessivi, ai comportamenti violenti, alle dipendenze destabilizzanti, ai problemi relazionali, alla tristezza, alla depressione, fino addirittura alle malattie psicosomatiche, derivate dal riverbero sul corpo di tutto questo eccesso di emozioni e sensazioni.

Ma andiamo con ordine: il percorso all’interno dell’Università di Pavia mi diede grandi soddisfazioni e mi fece raggiungere traguardi inattesi: nel Gennaio 1999, il Consiglio del Corso di Laurea in Scienze Biologiche, ottenuta la delibera da parte del Consiglio di Facoltà e dopo approvazione del Senato accademico, propose l’attivazione di un contratto di insegnamento per due cattedre presso il suddetto Ateneo; partecipai alla selezione pubblica nazionale ed arrivai primo così che il Senato accademico mi nominò Professore a Contratto presso l’Università di Pavia: avevo appena 27 anni e ancora poche idee chiare in testa!

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La difficoltà di accettare schemi precostituiti e la voglia di libertà (le mie più peculiari e vincenti eredità genitoriali). 

La collaborazione con il Dipartimento di Biologia dell’Università di Pavia non durò molto: Libertas, quae non in eo est ut iusto utamur domino, sed ut nulloLa libertà, che non consiste nell’avere un padrone giusto, ma nel non averne alcuno (Marco Tullio Cicerone).

Furono senza dubbio anni di piacevolissime e gratificanti soddisfazioni e cercai di utilizzare tutti i vantaggi che il ruolo di Professore universitario mi metteva a disposizione, soprattutto nell’ambito delle relazioni, non lo nego, ma la mia natura ribelle e sovversiva mi impedì presto di continuare a sottomettermi alle logiche baronali e di sistema per cui appena due anni dopo aver ricevuto una nomina così prestigiosa, decisi di abbandonare l’incarico e di trasferirmi a Milano, dove nel frattempo avevo già intrapreso altre collaborazioni. 

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L’ossessione per la ricerca dei perché

L’input per lo studio del cervello e, in particolare, per quell’area del mesencefalo che costituirà anni dopo il punto focale delle mie ricerche e delle mie teorie controcorrente mi venne fornito dal lavoro come Nutrizionista: era il 2001, avevo da poco cominciato a lavorare a Milano e mi ero già trovato ad osservare come molte delle persone che seguivo per il dimagrimento riscontrassero e lamentassero oggettive difficoltà nel perdere peso ed era evidente come tali insuccessi non dipendessero soltanto dal loro metabolismo né tanto meno dalle caratteristiche delle diete assegnate ma dalla loro condizione emotiva! Come capii successivamente, la causa delle enormi difficoltà di dimagrimento era rappresentato dalla presenza di alcune memorie registrate in una particolare area neuronale, correlata proprio con quei meccanismi di apprendimento ampiamente studiati negli anni di lavoro in Università: le mie osservazioni mi portarono a ipotizzare che le chiavi di interpretazione e le spiegazioni fornite dalla Psicologia e da parte della Medicina ufficiale non fossero sufficienti per spiegare i fenomeni osservati, e che fossero assolutamente necessarie delle ricerche e degli studi approfonditi per colmare un vuoto di conoscenza sul funzionamento specifico e peculiare delle aree del Sistema limbico e del Mesencefalo: cominciai così a formulare una mia prima ipotesi sul funzionamento dei neuroni dopaminergici ex ante.

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Dalla difficoltà di accontentarmi al desiderio di trovare nuove risposte.

Aut viam inveniam aut faciamO troverò una strada o la farò (Annibale Barca).

Le teorie della Psicologia ufficiale non fornivano spiegazioni alla maggior parte delle domande che mi ponevo a quel tempo e, qualora ne avessero avute, non erano secondo me risposte soddisfacenti né esaurienti. Fu per questo che decisi di non accontentarmi e di trovare da solo le risposte ai miei perché, abbandonando la via già tracciata da altri, costituita da una conoscenza che mi appariva incompleta e insoddisfacente pur se documentata attraverso libri, saggi, atti di congressi e universalmente insegnata in Università e Atenei.

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Alea iacta est! – Il dado è tratto (Località: fiume Rubicone, frase di Giulio Cesare, notte del 10 gennaio del 49 a.C).

Anche la mia decisione era presa: stavolta la località era Milano, era una notte del mese di Marzo del 2005 e non avevo con me nessun esercito quando anch’io, senza pretese di paragoni, presi la decisione di farmi venire un febbrone per la varicella (probabilmente per lo stress) e di prendere ufficialmente le distanze dalle teorie ufficiali sul funzionamento del cervello e sulle modalità per interagire con esso.

La decisione era presa ed era coraggiosamente azzardata: avrei compiuto da solo e senza alcuna sovvenzione o sponsor le mie ricerche sul misterioso funzionamento dei neuroni dopaminergici ex-ante, correlati con i comportamenti disfunzionali, con la genesi delle emozioni e con altri argomenti sui quali, secondo me, si erano scritte tonnellate di carta ma dei quali non si era compreso fino in fondo l’importanza. Da questi neuroni dipendevano infatti le nostre emozioni negative, i comportamenti disfunzionali e tutta una serie sterminata di conseguenze nell’ambito dei problemi psicofisici più comuni!

Cominciai così a sperimentare e a riesaminare le mie intuizioni analizzando tutte le persone con cui entravo in contatto, nel tentativo di trovare il modo di leggere nella loro mente i ragionamenti nascosti dietro ogni frase, azione, emozione o comportamento, cercando di trovare nei loro atteggiamenti e nelle loro affermazioni i residui delle memorie registrate nelle aree nascoste del loro sistema limbico, verificando le mie teorie e le mie idee tutte le volte che ne avessi la possibilità, con tutte le persone che conoscevo, indistintamente, indiscriminatamente e, aggiungerei, ossessivamente nonché, a volte, nascostamente: stavo costruendo una nuova teoria sui neuroni dopaminergici ex ante e sulle interazioni tra il mesencefalo, il sistema limbico e la corteccia prefrontale. La decisione era presa e nulla o nessuno mi avrebbe potuto fermare: volevo comprendere cosa si nascondesse dietro ogni manifestazione psichica osservata,  mia o di chiunque altro. Volevo comprendere ciò che ancora non era stato, a mio avviso, studiato a sufficienza, volevo leggere nella mente delle persone: pensai perfino di iscrivermi ad un corso di ipnosi e ad una scuola di kinesiologia applicata.

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Nascita di un amore.

Il mio lavoro di ricerca indipendente non conosceva orari né festività, non contemplava pause né vacanze e mi spingeva a rubare ore al sonno, alle relazioni, alle attività amene, ricreative, ludiche, sportive e a qualsiasi altro impegno che non fosse inerente e strettamente correlato con il mio ostinato, compulsivo reboante desiderio di conoscere TUTTO sui quei neuroni così straordinari: la mia lucida follia amorosa con la Conoscenza del mesencefalo durò così 8 anni esatti; non fu mai, in realtà, uno studio matto e disperatissimo di leopardiana memoria perché mi sentivo davvero letteralmente felice e coinvolto da ciò che facevo; fu piuttosto un amore travolgente per la Scienza, per la Ricerca, per la Verità che stavo cercando, lungo la strada che percorrevo accanitamente e che, intuivo, mi poteva forse portare a scoprire quello che fino ad allora non era mai stato svelato: come anticipato ad inizio paragrafo, vista la significatività del dato scientifico mi ripeterò:

“Una piccola ma potentissima e fondamentale area del nostro encefalo, grande più o meno come una castagna, era in grado di ipnotizzare, condizionare, offuscare e influenzare completamente tutto il resto del cervello producendo, come inevitabile conseguenza, quasi tutti i problemi legati all’emotività e ai comportamenti: dall’ansia alla paura, dalla disistima all’insicurezza, dagli attacchi di panico ai pensieri ossessivi, ai comportamenti violenti, alle dipendenze destabilizzanti, alla tristezza, alla depressione, fino alle malattie psicosomatiche derivate dal riverbero sul corpo di tutto questo eccesso di emozioni”.

 

La conclusione del viaggio e le voci della consapevolezza.

Era il marzo del 2013 quando decisi finalmente che il percorso era giunto a conclusione: negli otto anni precedenti, dopo aver ascoltato e osservato più di mille persone, dopo aver verificato ogni mia ipotesi, analizzato e confermato ogni mia idea e ogni mia teoria, ero finalmente al cospetto dolce e severo dell’amante che avevo inseguito per tanto tempo e che mi aveva tenuto legato a sé generandomi dipendenza assoluta: Lei, la Conoscenza sul funzionamento di un’area del nostro cervello. La mia sfuggente amante si stava finalmente rivelando in tutta la sua possenza, mi sembrava quasi di percepirne la voce; ero in contatto con una sensazione nuova e mi sentivo come se stessi accedendo ad un livello di consapevolezza superiore: come quando ti sei chiesto per tanto tempo il perché di qualcosa e ci hai pensato e ripensato, come quando ti sei arrovellato il cervello e finalmente senti arrivare la risposta, l’illuminazione che aspettavi; la sensazione liberatoria ed euforica che ti pervade quando finalmente senti di essere riuscito ad avere… l’intuizione giusta, quando afferri l’idea, quando senti di essere giunto alla Comprensione del fenomeno osservato, la spiegazione ai tuoi perché e in quel momento senti che sei padrone di quella Conoscenza che inseguivi, della risposta a quel quesito che cercavi di risolvere (nel mio caso, per 8 anni!) e l’entusiasmo ti fa gridare “Ho capito! Ci sono! Pazzesco! Incredibile! Ecco com’è! Ecco perché! Ecco… la via!”.

Archimede a Siracusa disse semplicemente “Eureka!“, ma il Nostro evidentemente era un uomo di poche parole e di ben più elevate capacità intellettive: io più umano e più emotivo, imparagonabile ma altrettanto felice e sicuramente frastornato, esultai dentro di me in modo parimenti esclamativo.
Devo essere sincero, dentro di me percepivo la paura e lo sbigottimento all’idea di abbandonare parte delle teorie e delle idee scientifiche che mi avevano accompagnato e
protetto fino ad allora; ma davanti a me c’era… Lei: la Conoscenza, il disvelamento di Maya. La mia Passione per lo studio dei neuroni dopaminergici mi parlava e mi si rivelava, come all’interno di un illuminante, chiarificatore sogno lucido; cercavo di fare i conti con una realtà che mi lasciava quanto meno perplesso sul da farsi, di fronte alla terribile evidenza che ne conseguiva: tutte le conoscenze ufficiali proposte dagli studi sulla psiche e sulla mente circa il nostro libero arbitrio, sulla capacità di lettura dei dati di realtà e sulla genesi dei pensieri volontari e delle emozioni erano sicuramente da rileggere; se davvero volevamo giungere alla comprensione reale dei fenomeni psichici, non c’era scampo, non c’era alternativa.

La riflessione a cui mi abbandonai fu drammatica ma liberatoria allo stesso tempo: quel che mi risultava evidente era che mi avrebbero osteggiato e forse considerato folle, visionario, millantatore; quello che mi rassicurava era… che non c’era in realtà una vera decisione da prendere perché la via era ormai tracciata e visibile, quindi non c’era la possibilità di provare la classica ansia di dover fare una scelta!

“Quale scelta?! – pensai – non posso cancellare le verità a cui sono giunto!!

Dovevo andare avanti e accettare quello che altri studiosi, immersi nelle idee in cui, in precedenza, ero stato completamente immerso anch’io, avrebbero detto e pensato di me: “Fermiamo questo pericolo pubblico che afferma catastrofiche sciocchezze!”.

Mi rassicurava l’idea che anche io, al loro posto, mi sarei visto tale e quindi non avevo paura che mi accadesse.

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Essere diverso: difetto esecrabile o capacità di differenziarsi dagli altri?

E coloro che furono visti danzare vennero giudicati pazzi da quelli che non potevano sentire la musica. (Friedrich Wilhelm Nietzsche).

Mi tranquillizzai: non potevo ignorare ciò che ormai avevo conosciuto e non potevo comandare al mio cervello di dimenticare tutto. Quello che oggi affermo nelle mie teorie, ancor oggi appare di certo assurdo (dal lat. absurdus, der. di surdus «sordo», propr. «stonato, fuori dal coro») e troppo dissonante rispetto alle idee ufficiali: ma anche quella notte potei dormire sereno. La varicella era passata da molti anni e non avevo altre paure né, di certo, il timore di dire la mia verità.

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Alis Volat Propriis – Si vola con le proprie ali.

Ammiro chi si espone e chi rischia di andare contro corrente, chi prova ad essere se stesso e chi prova a cantare fuori dal coro, chi fa qualcosa di diverso, di speciale e ancor di più chi è in grado di apportare significative innovazioni.
Compatisco chi si conforma per la paura del giudizio, chi si reprime per compiacere il gruppo, chi preferisce ripetere ciò che hanno detto o fatto altri, prima di lui, per evitare di essere travolto dal fiume in piena di eventuali giudizi e opinioni dissacranti: una posizione di certo più comoda, quest’ultima, al riparo dal rischio delle critiche, ovviamente, ma incapace di produrre innovazione e progresso scientifico.

Ricordo che quando andavo a scuola, copiare dagli altri era un comportamento per me inaccettabile: pensavo che avrei saputo sbagliare da me, senza bisogno di copiare gli errori degli altri! E così anche in questo caso, non affermare le mie idee e copiare quelle già prodotte da altri rappresentava per me una strada assolutamente non percorribile a meno di dovermi sentire per sempre un mediocre ripetitore del pensiero altrui, tanto più che le idee a cui avrei dovuto uniformarmi, già accettate, accreditate e ampiamente diffuse all’interno della comunità scientifica, mi apparivano scientificamente per nulla convincenti!

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Odi et amo. 

Cotidie damnatur qui semper timet – L’uomo che vive nella paura è condannato ogni giorno.

Non più intimorito dalla possibilità di essere ridicolizzato e osteggiato, decisi di intraprendere la mia strada: l’avrei pensata diversamente da tutti, conscio che per questa mia posizione non ci sarebbero stati mezzi termini: mi avrebbero amato e considerato geniale o criticato e giudicato aspramente, tertium non datur (non ci sarebbe stata via di mezzo), ne ero consapevole… e decisi di andare avanti.

Contrariamente a quanto pensassi ed oltre ogni più rosea aspettativa, dal giorno in cui decisi di mettere a frutto le mie conoscenze per guidare i percorsi di tantissime persone, nel mio studio di Milano ovvero dopo altri 7 anni di lavoro, dopo centinaia di abbracci, dopo migliaia di sorrisi di riconoscenza per i problemi risolti, grazie ai tantissimi corroboranti ringraziamenti ricevuti, linfa vitale per continuare ad andare avanti ed aiutare tutti con il mio pensiero, con dedizione e passione, dopo infinite attestazioni di stima, fondamentali per ritrovare ogni giorno la forza per entrare nelle vite e nelle emozioni di chi mi ha chiesto aiuto, dopo lacrime, anche mie, dopo fatica fisica e sudore, dopo tutto questo… mai una critica negativa, mai un giudizio aspro su di me e sul mio immenso impegno lavorativo, mai un commento che non fosse lusinghiero.

Sette anni dedicati a seguire la mia Verità, sette anni passati a divulgare quella conoscenza che fosse in grado di eliminare le sofferenze emotive, sette anni impiegati ad insegnare come ritrovare la serenità, sette anni alla ricerca della perfezione, nello sforzo costante di eccellere per offrire il massimo possibile, sette anni meravigliosi poiché ampiamente ripagati da ciò che mi ha nutrito affettivamente ed emotivamente: sette anni di sorrisi e di migliaia di abbracci.

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La mia Teoria

La Conoscenza cui ebbi la fortuna di accedere, la mia Verità scientifica sui neuroni dopaminergici del mesencefalo è semplicemente riassumibile come segue:

Una parte del cervello vuole indebolirci e tutte le emozioni negative che proviamo sono la diretta conseguenza di un’azione “di indebolimento” rivota contro di noi da parte di uno sparuto gruppetto di nostri neuroni cosiddetti dopaminergici.

Una parte del nostro cervello ha memorizzato la funzione di frenarci e renderci più “deboli” del volere genitoriale (altrimenti avremmo disatteso le aspettative di “ubbidienza” e avremmo superato la loro volontà, divenendo più dominanti rispetto al loro volere, rischiando l'”abbandono affettivo”) e così, nella migliore delle ipotesi, essa ci spinge, per tutta la vita, a compiere azioni e scelte controproducenti per indebolirci: l’obiettivo di questi neuroni consiste quindi nel farci vivere un ruolo subalterno di cui l’indebolimento e la sofferenza sono la “dimostrazione”!

Un indebolimento da raggiungere a qualsiasi costo, attraverso pensieri destabilizzanti, idee di disistima, paure, ansie, tristezze e molte altre strategie autolimitanti messe in atto da una parte di noi.

Una parte del nostro cervello si gratifica addirittura “quando noi soffriamo” poiché nella sofferenza dimostra il “ruolo” di colui che “non fa ciò che gli piace” ed è dunque “colui da amare e da assistere” per cui intere batterie di circuiti neuronali operano in modo tale da farci soffrire. L’obiettivo è facilmente raggiungibile: è sufficiente aumentare la nostra sensibilità, la nostra capacità empatica, il nostro bisogno degli altri, facendoci innamorare della persona sbagliata, accrescendo la genesi di paure e di ansie fino all’eccesso, amplificando o direttamente “producendo” le sensazioni negative e i pensieri che ci fanno stare male.

“Immagina la persona più cattiva e malefica che conosci, la più perfida, approfittatrice, falsa, sadica, ingiusta: questa persona corrisponde ad una parte del tuo cervello, vive in una parte nascosta dentro di te ma se vuoi esiste una strategia per sconfiggerla”.

 

Si tratta di un’area estremamente potente ed è a causa della sua presenza che si generano le ansie, le paure, le insicurezze e TUTTE quelle emozioni negative, quei pensieri che non vorremmo avere e quelle insicurezze-debolezze caratteriali che spesso prendono il sopravvento e ci fanno soffrire: se non ci fosse quest’area NON ci sarebbero questi elementi!

Contrariamente infatti a ciò che viene normalmente ritenuto, a ciò che ci hanno sempre insegnato e a ciò che noi stessi abbiamo sempre sperimentato nelle nostre esperienze quotidiane, le emozioni negative e le sofferenze non sono una componente normale della nostra vita e della nostra genetica ma sono prodotte come CONSEGUENZA della presenza di informazioni errate, memorizzate nei circuiti di questi neuroni sopra citati!

Per non soffrire quindi è necessario modificare queste memorie e per fare ciò é necessario sapere COME dialogare e  COME interagire con questi neuroni! Molto del tempo che trascorsi a studiare il cervello, lo dedicai proprio alla comprensione dei meccanismi per annullare gli effetti di tali neuroni sulla nostra emotività e per sovrascriverne, quando possibile, le impostazioni memorizzate.

Con mio stupore, nel corso delle mie ricerche riuscii a capire ben presto come non fosse il linguaggio a produrre il cambiamento sperato nei loro circuiti: osservai e compresi come il semplice parlare non fosse sufficiente e questo mi portò a considerazioni e riflessioni che mi spinsero ad ulteriori studi in quanto avevo capito che nessuna delle tecniche esistenti, adottate per proporre un cambiamento e basate sul dialogo, sulla parola e sulla comunicazione verbale potesse in alcun modo accedere all’area ventrale tegmentale del mesencefalo: in altre parole, le terapie rassicuravano, supportavano, facevano sfogare, rilassavano, scavavano, tiravano fuori informazioni, facevano riflettere e ragionare, analizzavano o compensavano, modificavano il comportamento ma NON cambiavano gli schemi di funzionamento di questi neuroni né igli elementi destabilizzanti correlati con i loro schemi procedurali (cioè le emozioni negative e i pensieri destabilizzanti sopra detti).

Arrivai a comprendere come, per modificare gli schemi di questi circuiti neuronali, fosse necessario qualcos’altro rispetto a quanto proposto fino ad allora e capii che non era in alcun modo sufficiente né efficace operare attraverso terapie farmacologiche o psicoterapie, che ovviamente funzionavano molto bene ed erano necessarie in caso di patologia sospettata o conclamata ma agivano altrove e non sulle memorie dei neuroni dopaminergici ex-ante.

Per modificare efficacemente gli schemi di questi neuroni servivano invece due elementi imprescindibili e fondamentali:

  1. L’inserimento di alcune specifiche nuove particolari informazioni all’interno del sistema cognitivo.

  2. L’utilizzo di un linguaggio non verbale (azioni dunque e non più parole) per fare arrivare le informazioni nel punto del cervello che contiene le memorie da sostituire o da compensare.

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NESSUNA TERAPIA  dunque: per cambiare i circuiti dei neuroni dopaminergici ex ante, presenti nell’area ventrale tegmentale del mesencefalo, è sufficiente (ma necessario) IMPARARE CONCETTI NUOVI che modifichino l’impalcatura del sistema cognitivo e che sostituiscano o soddisfino le memorie presenti in tali circuiti.

Così come – stranamente – il mesencefalo agisce contro di noi, così altrettanto stranamente il cambiamento arriva: in automatico, dopo che il cervello abbia effettuato queste operazione di apprendimento e sostituzione di informazioni!

Non ho ancora figli, ma se ne avessi, quello che vorrei dare loro è la possibilità di ereditare la conoscenza di come agire sui neuroni del mesencefalo per evitare che esso possa generare indebolimenti e quindi sofferenza emotiva altrimenti non eliminabile.

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Curriculum Vitae Tancredi Militano

Vi aspetto.

A presto!

Tancredi Militano