Il 25 novembre è la giornata mondiale contro la violenza contro le donne: “Rieducare i neuroni per fermare il femminicidio”
Intervista di Giorgia Governale al dott. Tancredi Militano
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Secondo il biologo esperto di Etologia umana e Neuroscienze Tancredi Militano, l’approccio neurobiologico è lo strumento più all’avanguardia per disinnescare i meccanismi mentali che portano gli uomini a compiere atti di violenza brutali: “Bisogna lavorare sull’hardware della mente, i circuiti neuronali, non sul software che da essi deriva, cioè il pensiero e le funzioni cognitive”.
Dal 1981 gli attivisti per i diritti delle donne hanno scelto il 25 novembre come giornata per celebrare l’impegno nell’eliminare la violenza contro il genere femminile. Una giornata di cui, nel nostro Paese, si parla diffusamente solo da qualche anno, da quando le scarpe rosse lasciate sull’asfalto ne sono divenute un simbolo iconicamente riconosciuto e, soprattutto, da quando la cronaca ha iniziato a restituire le cifre della strage quotidiana ribattezzata “femminicidio”.
“Questi comportamenti violenti sono dovuti a ‘informazioni’ registrate e memorizzate in alcune specifiche aree del cervello, che presentano caratteristiche uniche e particolarissime – spiega il biologo esperto di Etologia umana e Neuroscienze Tancredi Militano. – Sono l’area tegmentale ventrale del mesencefalo, le amigdale, gli ippocampi, lo striato, i nuclei accumbentes e altre strutture del sistema limbico. Da queste aree del cervello parte l’innesco di certi comportamenti violenti, che è possibile disinnescare solo grazie alla conoscenza di queste zone data dalle Neuroscienze e grazie agli studi di Etologia umana sulle esigenze della nostra parte animale, iscritte nel nostro DNA. Si tratta dunque di cambiare il target dell’attenzione: anziché lavorare all’aspetto mentale (il pensiero, che possiamo chiamare il software del cervello) se si vuole evitare la violenza si deve lavorare sull’aspetto neuronale (l’hardware)”.
Secondo Militano, “Nell’area tegmentale ventrale del mesencefalo, i neuroni dopaminergici con comportamento ‘ex ante’ inducono il soggetto a esprimere comportamenti violenti come se non potesse opporsi alla volontà di tali neuroni e ne fosse esso stesso vittima. Tali neuroni – precisa l’esperto di Neuroscienze – hanno infatti la capacità di bypassare le funzioni inibitorie dei neuroni dei lobi prefrontali, quelli che sottendono alla ragione”.
Dunque, conoscendo come funzionano i neuroni con meccanismo ex ante si può evitare la violenza mentre se, come si è fatto finora, si lavora sui neuroni dei lobi frontali e prefrontali e sui pensieri da essi generati non si può arginare il problema, perché i neuroni ex ante del mesencefalo sono in grado di sovrastare quelli inibitori e quelli dei lobi frontali.
Ovviamente, viene spontaneo chiedersi come possano i neuroni ex ante compiere un errore di calcolo così grave da condizionare i neuroni dei lobi frontali e prefrontali (qui ci sono i neuroni delle funzioni inibitorie) e indurre certi soggetti a compiere atti di violenza. Per comprenderlo, è necessario capire come funziona la nostra “macchina-cervello”, prosegue Militano: “I neuroni ex ante del mesencefalo imparano e memorizzano le azioni che portano un vantaggio per il soggetto. Essi sono collegati con le amigdale, per cui sono influenzati dalle paure memorizzare nei primi anni di vita (fino agli 8, ma soprattutto prima). Una volta appresa la strategia che porta al vantaggio (funzione ex ante) questi neuroni non la cambieranno se tale modifica dovesse coinvolgere le paure iscritte nelle amigdale. Quindi, una volta appresa la strategia, essa non viene più messa in discussione, nemmeno se decontestualizzata o se non più utile per ottenere il vantaggio che prima veniva raggiunto. La strategia viene perseguita indipendentemente da ciò che ne scaturirà (fino alle conseguenze più nefaste per gli altri e per il soggetto stesso), come se tali neuroni non fossero interessati al risultato ma al mezzo per raggiungerlo, come se non fossero in grado di considerare il “dopo” ma solo il “prima” (per questo “ex ante”) e producessero dopamina (l’ormone della soddisfazione) prima ancora di arrivare al risultato (l’eventuale vantaggio). Questo produce di per sé un “errore di calcolo” e innesca letture falsate dei dati di realtà”, generando predizioni errate sul dato analizzato e una pulsione a compiere azioni violente come conseguenza.
In estrema sintesi, un errore di calcolo dei neuroni con meccanismo ex ante del mesencefalo induce il soggetto a compiere atti violenti. Questa non è una giustificazione, evidentemente, ma una spiegazione del fatto che il soggetto violento può essere osservato e affrontato con occhi diversi e strumenti più efficaci, grazie alle scoperte delle Neuroscienze.
“Nel cervello ci sono memorie che lo ‘inducono’ a comportamenti antisociali e che riescono a sfuggire al controllo della ragione. Compresa questa origine, si aprono nuovi scenari per la prevenzione e la risoluzione di drammi sociali come il femminicidio, impensabili e inimmaginabili fino a pochissimi anni fa – commenta il biologo di Palermo, che ormai da anni vive e lavora a Milano. – Oltre alla reclusione e agli altri strumenti di contenimento già utilizzati, è infatti imprescindibile una rieducazione profonda sui circuiti neuronali coinvolti nelle capacità decisionali, nelle scelte e nel comportamento del soggetto”.
Il compito non è semplice, ammette Militano, ma la figura professionale del Neurobiologo ha strumenti per agire in maniera efficace: “Bisogna insegnare al soggetto che desideri uscire dal corto circuito degli errori di calcolo quali azioni compiere per far memorizzare a tali neuroni le informazioni nuove che sovrascrivano quelle già presenti dalla prima infanzia, in modo da non produrre più gli stessi errori. Il soggetto deve imparare come far funzionare diversamente il proprio cervello e come memorizzare nuove informazioni nelle aree del mesencefalo e del sistema limbico, aree come abbiamo visto accessibili solo conoscendo le loro caratteristiche neurobiologiche”.
Intervista di Giorgia Governale